
03 Lug Un anno accademico straordinario: la formazione a docenti 2020/21 a ELE USAL Torino
Di Monica Rita Bedana*
“Benvenuti alla Scuola dell’Università di Salamanca, dove l’alunno non esiste”.
Li abbiamo sempre accolti così, gli oltre cinquecento insegnanti di spagnolo come altra lingua –non lingua straniera, lingua 2 o lingua altra, ma un’ulteriore lingua che la persona impara- che negli ultimi dodici mesi hanno scelto di formarsi in presenza online con l’Università di Salamanca, partecipando ai vari programmi della sua Scuola di Torino.
Scrivo queste righe per riassumere non tanto un anno accademico straordinario nel senso di fuori dal consueto –eravamo pronti da almeno sette anni a illustrare ai docenti come introdurre le tecnologie nelle proprie lezioni; a farlo non perché fosse di moda, e nemmeno per continuare a insegnare le cose di sempre con altri mezzi, ma per abbattere le pareti delle aule e ogni muro divisorio tra discipline, per trovare connessione a tutto campo con il mondo, analizzarlo, comprenderlo, acquisire la capacità di metterne in discussione il funzionamento ogni volta che serve.
Scrivo queste righe per riassumere l’idea di scuola che, in maniera molto pratica, abbiamo tentato di trasmettere a centinaia di docenti durante un percorso di formazione straordinario nel senso di notevole, eccezionale; tale è infatti la comunità che i docenti che vi hanno partecipato hanno saputo creare, contro ogni previsione, proprio nei mesi più estenuanti di sempre nell’esercizio del loro lavoro. Scrivo per ringraziarli. Scrivo, infine, per anticipare dove andremo, cosa abbiamo in mente di fare nel nuovo anno accademico.
L’alunno non esiste è il nostro assioma.
Il postulato è che l’alunno esiste solo nelle interminabili tavole rotonde degli esperti di scuola, negli articoli dei giornali, nei provvedimenti ministeriali – sul Ministero, tuttavia, nutriamo speranze che abbracci presto il nostro assioma- e, più di recente, anche sulle piattaforme educative dei colossi digitali.
Ne parlano tutti, dell’alunno: delle competenze che deve acquisire – competencias hasta en la sopa -; degli apprendimenti e delle loro precise misurazioni (crocette, vero/falso, risposta multipla, buchi ovvero cloze); delle abilità –trasversali, oblique, diagonali, intersecanti, incidenti: sghembe tutte, in sostanza-; del suo approccio im pro ro ga bi le alle STEAM, o perderà il treno del mondo del lavoro. Svelto! L’education ti chiama!
Eppure l’alunno non esiste. Al suo posto esiste il tuo alunno, prof. Nella tua classe. Nel tuo istituto scolastico. Nella sua famiglia. In rapporto con un determinato territorio e con il grado di sviluppo socioeconomico della sua società. Tutto ciò cambia, si trasforma -l’abbiamo constatato nell’ultimo anno- non solo di giorno in giorno ma addirittura di ora in ora. E quindi nessuna generalizzazione vale.
Agli insegnanti, costretti a un modello di scuola che li ha trasformati in burocrati, in tecnici, in manager, abbiamo detto: noi sperimentiamo di continuo. Abbiamo fatto questo, questo, questo e quest’altro per voi: e giù una cospicua quantità di esempi concreti, e di materiali interattivi, e un forum sempre aperto, e strumenti di cooperazione, e una presenza online in cui ci si è guardati in faccia senza mascherina, e così ci si vede ben più da vicino che se fossimo in duecento stipati sui gradoni altissimi di un’aula magna.
Ci vuole ascolto. In presenza come nella distanza, è uguale. Recuperare, sviluppare, aumentare la capacità di ascolto sarà una delle risorse cardine del futuro della scuola e dell’umanità post-pandemia.
Provate anche voi, abbiamo aggiunto. Potete adattare questi materiali in questo modo e in quest’altro. Provate e poi diteci, fateci sapere come va. Sperimentate anche voi.
Sperimentare, la seconda parola cardine del futuro. Impossibile sperimentare nella scuola di oggi, con i suoi inamovibili programmi e il tempo cronometrato per svolgerli pedissequamente; inamovibile anche negli spazi, quindi condannata in partenza a essere frontale, trasmissiva, pedante; incentrata sulla valutazione e sulla competizione. Votata dunque a produrre nuove diseguaglianze (è successo con la DAD) anziché contribuire a colmarle.
Se i docenti non inizieranno a sperimentare per primi, guidati da validi esperti in didattica che si sporchino di calcinacci le mani insieme a loro, buttando giù le pareti delle aule e i divisori tra discipline, ripensando radicalmente metodologie, programmi, valutazione, spazi, tempi dell’insegnamento, possiamo solo aspettarci di veder crescere l’abbandono scolastico, nei prossimi mesi.
E secondo i dati Eurostat, nel 2019 (le cifre più aggiornate; appartengono già a un’altra era geologica, precedente allo sconquasso del Covid, che ha peggiorato la situazione) l’Italia è il quinto paese dell’Ue con la percentuale più alta di giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato gli studi prima di ottenere il diploma. Stiamo parlando di un 13,5% di ragazzi.
Una scuola in cui gli insegnanti sperimentano in aula è una scuola che coinvolge, che aggrega, che implica lo studente in un progetto sentito fino in fondo come proprio, del gruppo, della comunità. Una scuola significativa, in sostanza. Curiosamente, in un sistema scolastico che misura tutto ciò che è definibile e quantificabile come “competenza” da spendere nel mondo del lavoro, non realizza l’unica analisi indispensabile all’apprendimento: l’analisi preliminare delle necessità e delle aspirazioni degli alunni. Abbiamo detto ai prof: dal primo giorno, chiedete agli studenti di loro stessi, di che cosa significhi per loro frequentare la scuola, che cosa si aspettino, cosa li preoccupi, quali siano, soprattutto, i loro interessi. La tecnologia facilita questo tipo di analisi nelle classi numerose che gli insegnanti si trovano a gestire, e la DAD poteva essere una splendida occasione per sperimentare nuove forme di valutazione, partendo dalla pietra miliare: l’analisi dei bisogni educativi e delle inclinazioni personali di ognuno. Via le griglie di valutazione, che solo a nominarle ci si sente ustionare sulla brace. Fatevi conoscere, ragazzi, mettiamoci fiducia e lealtà reciproca, non (solo) test INVALSI: solamente così la scuola sarà valsa la pena.
Che cos’è, la scuola, a cosa serve: chiediamocelo con urgenza e con onestà, prima della pioggia di investimenti del PNRR. Perché se guardiamo agli ultimi dodici mesi potremmo risponderci che la scuola non è annoverabile tra le attività produttive e diffonde i contagi, quindi la chiudiamo per prima; poi però, per andare a svolgere attività produttive i figli non sappiamo a chi lasciarli, allora riapriamola per prima, senza che nulla sia cambiato, da nessun punto di vista, rispetto al momento in cui l’avevamo chiusa.
Gli insegnanti di spagnolo che sono venuti a imparare a sperimentare con noi, hanno puntato sulla propria formazione in un anno scolastico durissimo sul piano professionale e personale –psicologico, bisogna dire, senza mai sentirsi in imbarazzo: la sofferenza non è debolezza -; sono stati disposti a veder rivoltare come un calzino alcune loro certezze; a pensare molto (“Bienvenidos a la Escuela de la Universidad de Salamanca, os vamos a dar un poco de caña”, vi sottoporremo a un tour de force -per usare un’espressione politicamente corretta-); a farsi valutare da qualcuno che non conoscevano e che li sollecitava a farsi conoscere fin dal primo secondo.
Hanno studiato di notte e sperimentato, in classe, di giorno; parecchi di loro hanno svolto –e superato- il concorso di abilitazione subito dopo essersi formati insieme a noi; molti sono alle primissime armi; altrettanti sono ancora all’università e saranno gli insegnanti di domani, e ci hanno riempito il cuore di energia. La voglia, la sete di apprendere con serietà a costruire una scuola diversa, c’è; non è giusto che debbano arrangiarsi da soli, che la vera condizione sine qua non per insegnare sia lasciata all’iniziativa personale. Formazione obbligatoria alla didattica, continua, di alta qualità e cooperativa è un altro cardine su cui ruoterà il futuro di tutti.
Education, Technology Enhanced Active Learning e Professional Learning Environment imperversano sulle grandi piattaforme che, osservandole bene, guardando oltre gli anglicismi reboanti, impartiscono un tipo di formazione frontale, meccanica e nozionistica quanto gli insegnamenti frontali che vorrebbero rivoluzionare.
Sperimentare significa essere anche in grado di definire nella propria lingua le pratiche didattiche scelte, dopo un confronto con la maggior varietà possibile di sperimentazioni altrui. Il termine scuola viene dal greco scholé e, come indica il Treccani, “in origine significava (come otium per i latini) tempo libero, piacevole uso delle proprie disposizioni intellettuali, indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico”.
Al piacevole uso delle nostre disposizioni intellettuali dobbiamo tornare e portare con noi gli studenti: poche altre parole sono altrettanto insostituibili, complete, profonde, universali. Introdurre nella scuola, sempre più precocemente, l’idea di monetizzare quanto prima il sapere, devia il mondo occidentale dall’intera storia della civiltà a cui appartiene.
Ai docenti italofoni di spagnolo che si sono formati alla Scuola dell’Università di Salamanca a Torino, nell’anno accademico 2020/21, abbiamo spiegato che per noi insegnare e imparare una nuova lingua –qualsiasi lingua- non significa acquisire una competenza tecnica, ma disporre di un poderosissimo strumento di ricerca e di critica.
Se l’orizzonte delle competenze è asfittico per qualsiasi disciplina, applicato al campo linguistico è addirittura letale perché ogni lingua è in realtà un sistema di linguacultura: non la grammatica dei manuali, non una lista di funzioni o una porzione lessico, ma il risultato di quel che capiamo o abbiamo capito del mondo e di come riusciamo a interagire con la realtà che ci circonda.
Nel caso dello spagnolo, inoltre, dobbiamo parlare di lenguaculturas: le culture sono plurime, la lingua una, una per ognuno dei seicento milioni di parlanti che siamo, sparsi in tanti luoghi del pianeta, dalla Patagonia alla Guinea Equatoriale, a Ceuta o Burgos. Un solo spagnolo: dalla nodicia de kesos della fine del X secolo – che sanciva una delle origini del nostro volgare – a oggi, più di mille anni dopo, quando, con la stessa prodigiosa elasticità, la lingua spagnola è la terza più usata in rete (l’uso dello spagnolo nel web è cresciuto del 1.511% -sì, 1.511%- tra il 2000 e il 2020[1]).
Elasticità è un’altra parola cardine che ci accompagnerà nel prossimo anno accademico, perché la richiesta di flessibilità, abbiamo purtroppo constatato, rappresenta, in numerosi campi dell’attività umana, un solo movimento: chinarsi, inchinarsi, piegarsi. L’elasticità permette invece di collegare i saperi alla società in cui viviamo, e di scegliere in piena consapevolezza il ruolo che vogliamo svolgere in questo collegamento; di farlo solo in funzione del sapere, fuori da qualsiasi altra logica. Insegnare è insegnare a pensare, per noi. È dopo che si è imparato a pensare che tutto il resto può iniziare.
È stato così, dunque, all’insegna del glocal, del meticciato, delle contaminazioni di cui vive la nostra lingua che abbiamo spiegato ai prof, ad esempio, quali siano le sfide future dello spagnolo con l’Intelligenza Artificiale nel progetto LEIA della Real Academia Española de la Lengua; che non si può capire fino in fondo una poesia di Salinas o di Lorca senza sapere quanto abbia influito la teoria della relatività di Albert Einstein sulla loro scrittura; che per creare le prove delle certificazioni linguistiche DELE, SIELE e USAL esPRO , che l’Università di Salamanca elabora, bisogna essere esperti sia di linguistica che di statistica (e che è più facile che un linguista sappia o impari tutto di statistica che viceversa), e che quella di specialista in certificazioni è una delle professioni del futuro; che santa Teresa d’Avila è stata la prima femminista della storia, e non l’ha decretato il #Metoo ma il più grande esperto mondiale di Mistica della letteratura spagnola del Cinquecento, Víctor García de la Concha: lo disse per la prima volta a un congresso negli anni 80 del secolo scorso, non l’altro giorno; che il ritorno in Spagna di Cervantes dopo gli anni di prigionia ad Algeri, il sospetto che la società dell’epoca nutriva nei suoi confronti, di essersi contaminato nel contatto con gli infedeli, lo descrive nei propri libri Alessandro Leogrande quando parla di migrazioni. Che Lazaro de Tormes rivive nel rap di René Residente. Che Luis Sepúlveda tra gli shuar e i mapuche racconta meglio le cause del cambiamento climatico di un dossier dell’ONU.
Ah, e abbiamo usato Genial-ly, Prezi, Canva, Padlet, Wordwall, Typeform, GoConqr, Lumosity, WordPress, Educlipper, MindMeister, LiveJournal e Bubble, tra gli altri strumenti digitali, ma non l’abbiamo detto, perché l’importante sono i contenuti specifici che abbiamo creato sperimentando, l’importante è che fossero utili e significativi, che ispirassero i docenti e i ragazzi. Il resto, è soltanto un mezzo che facilita il lavoro.
Per il prossimo anno accademico continueremo ad applicarci a fondo nella formazione a docenti di ELE, e questa continuerà a basarsi sul valore del multilinguismo e quindi della multiculturalità; sulla comprensione e non sulla competenza; sull’elasticità, sull’analisi dei bisogni educativi, su una fortissima interdisciplinarietà.
Insegneremo a coltivare due virtù –sveleremo quali in ottobre, quando riprenderanno i corsi- che gli studi più recenti sugli effetti della pandemia indicano come indispensabili nell’adattamento alla nuova normalità. E avremo, come ogni anno, un nuovo motto: Piensa fuera de tu piel, pensa fuori della tua pelle, perché l’inclusione è un valore assoluto della scuola.
Sulle montagne russe di questi dodici mesi attivissimi e resilienti di ELE USAL Torino il mio ringraziamento personale va all’Università di Salamanca -mi primera casa- nella figura del Direttore delle Scuole ELE USAL nel mondo, Rubén Ramírez, e di tutta l’équipe della centrale ELE USAL, per non avermi fatto mancare nemmeno un giorno il loro sostegno, nonostante la mia ostinazione a imboccare sempre il sentiero più impervio.
Un grazie di cuore, sia istituzionale che personale, invece, a Zanichelli Editore per aver creduto in un progetto di formazione così ardito: senza la vostra collaborazione, dimostrare che l’alunno non esiste sarebbe stato impossibile. Un grazie speciale a Valentina Gabusi, Responsabile dei Corsi di Formazione di Zanichelli, impareggiabile compañera in questa avventura.
Dei risultati di questa collaborazione, della straordinaria esperienza umana e professionale scaturita dal PDP (Programa de Desarrollo Profesional) in due moduli –programma intensivo di aggiornamento sulla didattica dello spagnolo per insegnanti italofoni- e dal corso di formazione De Viva Voz, sull’approccio significativo alle letterature in lingua spagnola, parlerò, per gli addetti ai lavori, al prossimo congresso SICELE, dal 10 al 12 novembre, all’Università di Salamanca.
Nos vemos en otoño. Mientras, piensa fuera de tu piel. Un abrazo.
* Monica Rita Bedana dirige la Scuola dell’Università di Salamanca in Italia, a Torino
[1] El español: una lengua viva. Informe 2020. Instituto Cervantes
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